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Il fotovoltaico per chi abita in condominio, come fare

Il fotovoltaico per chi abita in condominio, come fare

Come realizzare un impianto FV su una superficie condominiale condivisa e perché è molto conveniente costituire un gruppo di autoconsumatori che condivide l'impianto

Anche chi abita in condominio può realizzare un impianto fotovoltaico, sia per i propri consumi privati, che per quelli comuni dello stabile, ma anche per condividere l’energia prodotta con gli altri condomini.

Si tratta di un investimento molto vantaggioso e che oggi ha tempi di rientro rapidissimi, grazie alle detrazioni fiscali, all’autoconsumo collettivo – che garantisce incentivi a chi condivide l’impianto FV – e, soprattutto, ai costi dell’elettricità alle stelle.

Ma vediamo come deve procedere chi voglia dotarsi di un impianto, a partire dall’ostacolo più temuto in questi casi: l’assemblea di condominio.

Impianto del privato: l’assemblea non può (quasi mai) negare

Partiamo dal caso del singolo condomino che vuole realizzare un impianto FV (ma le stesse regole valgono per il solare termico) per uso proprio, sul tetto comune o su uno spazio di proprietà dell’interessato.

L’articolo 1122 bis del codice civile stabilisce che “è consentita l’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell’interessato”.

Quindi – ci spiega Patrizia Pallara, esperta di normativa  dei condomini cui ci siamo rivolti – non c’è bisogno di autorizzazione, ma è necessario inviare all’amministratore una comunicazione inerente al lavoro che si vuole svolgere.

L’assemblea condominiale valuterà poi la fattibilità dell’opera; può indicare come e dove fare l’impianto, ma non può negare di utilizzare le parti comuni al fine di installare un sistema fotovoltaico.

I limiti e come superarli

Questa libertà ha però dei limiti: se viene fornita prova che la posa dei pannelli possa ledere il decoro architettonico dell’edificio oppure compromettere la stabilità o la sicurezza del fabbricato, l’assemblea può intervenire per fermare i lavori oppure ordinare lo smantellamento dell’impianto.

Lo stesso principio vale se lo spazio occupato pregiudica il pari diritto degli altri condomini di fare altrettanto: ragion per cui bisognerà valutare l’occupazione dell’area comune in relazione ai millesimi di cui è titolare il condomino interessato.

L’art. 1102 stabilisce infatti che ciascun condomino può usare gli spazi comuni a patto che non ne modifichi la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne parimenti uso. Solo un regolamento di condominio, approvato all’unanimità, potrebbe stabilire diversamente e impedire un uso del genere dell’area comune. Invece, la delibera assembleare approvata a maggioranza non avrebbe alcun potere in merito, ci spiega Pallara.

Se per installare l’impianto è necessario modificare una parte comune del condominio, il singolo deve comunicarlo all’amministratore indicando il contenuto specifico della modifica e le modalità di esecuzione degli interventi (art. 1122 bis c.c.). L’assemblea può prescrivere delle modalità alternative di esecuzione o imporre delle precauzioni per salvaguardare la stabilità, la sicurezza e il decoro architettonico dell’edificio.

Tale delibera deve essere approvata con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno i due terzi del valore dell’edificio. L’assemblea, su richiesta dell’interessato, può anche provvedere a ripartire l’uso della superficie comune interessata nel rispetto delle diverse forme di utilizzo previste dal regolamento del condominio.

Di fatto – riporta Andrea Brumgnach, esperto di fotovoltaico in condominio e vicepresidente di Italia Solare – per realizzare su spazi comuni l’impianto di un singolo condomino spesso si deve passare per questa strada, che richiede l’assenso della maggioranza e di due terzi del valore dello stabile, dato che la superficie meglio esposta sovente non è ripartita, come nel caso di un tetto a falda.

L’impianto FV comune

Più semplice è installare un impianto di proprietà del condominio, ci spiega Pallara. In questo caso la norma di riferimento del codice civile è invece l’art. 1120, che è dedicato alle innovazioni tra le quali sono comprese anche quelle “per la produzione di energia mediante l’utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio“.

La proposta per l’impianto fotovoltaico per il condominio può essere avanzata anche da un solo condomino. In questo caso – spiega l’esperta – l’amministratore deve convocare l’assemblea entro 30 giorni dalla richiesta del singolo che deve avere cura di indicare in essa anche le modalità con le quali le opere devono essere realizzate. La delibera deve essere approvata con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore millesimale dell’edificio.

In questo caso i condomini contrari non devono sostenere la spesa, ma non possono beneficiare dei vantaggi e delle agevolazioni, cioè del risparmio in bolletta e degli eventuali incentivi. I costi saranno quindi ripartiti tra coloro che hanno dato il consenso all’installazione dell’impianto, e questi potranno usufruire anche delle detrazioni fiscali.

Autoconsumo collettivo e detrazioni fiscali

Come dicevamo, molto interessante per un condominio è il regime dell’autoconsumo collettivo, cui si può aderire dall’entrata in vigore del dl 162/19 (articolo 42bis) e dei relativi provvedimenti attuativi (quali la delibera 318/2020/R/eel dell’Arera e il dm 16 settembre 2020 del MiSE).

Rimandando ai nostri articoli per i dettagli, per essere autoconsumatori collettivi basta essere in almeno due a condividere l’elettricità prodotta dallo stesso impianto (anche di proprietà di terzi).

Si ha così diritto, per 20 anni, a un incentivo di 100 euro/MWh su tutta l’energia condivisa (pari al valore minore, su base oraria, tra quella immessa in rete dall’impianto o dagli impianti e quella prelevata dai consumatori che rilevano per la configurazione).

L’energia del gruppo di autoconsumo non usata dai partecipanti ma immessa in rete, inoltre, viene venduta, tramite il Gse e il meccanismo del ritiro dedicato, con una remunerazione che dipende dai valori del mercato.

L’incentivo per l’autoconsumo collettivo e i ricavi dalla vendita di energia, per chi ha investito nell’impianto, si sommano ovviamente al risparmio dell’autoproduzione da FV e sono cumulabili con le detrazioni fiscali.

Ricordiamo infatti che il FV, sia in impianti di un singolo che condominiali, oltre che essere tra gli interventi “trainati” che godono del Superbonus, dà diritto alla detrazione del 50% delle spese sostenute.

Vantaggi anche per chi non investe

La costituzione di un gruppo di autoconsumo collettivo, ci spiega Brumgnach, si può fare con un verbale di assemblea: non serve creare una società, né uno statuto. L’importante è che il verbale di assemblea abbia al suo interno i punti cardine richiesti dalla normativa in materia, tra cui la ripartizione dei vantaggi.

L’assemblea, ad esempio, potrebbe avere due punti all’ordine del giorno: uno per realizzare l’impianto FV condominiale, per cui come detto basta il 50% dei voti in assemblea e della proprietà, e uno per costituire il gruppo di autoconsumo collettivo.

Aderire al gruppo di autoconsumo – va sottolineato – non è sinonimo di investire nell’impianto: a pagare l’impianto potrebbe essere anche un singolo condomino.

Chi non partecipa all’investimento, ma si limita a partecipare al gruppo come consumatore non godrà del risparmio da autoproduzione, delle detrazioni, né della vendita dell’energia, ma avrà comunque diritto ai vantaggi dati dagli incentivi sull’energia autoconsumata nel gruppo; “in questo caso, a fronte della mera adesione alla configurazione, senza alcuna spesa, si può avere un vantaggio di circa 30-60 euro l’anno”, stima Brumgnach.

Una scelta che conviene

Per chi aderisce al gruppo anche come produttore, invece, i vantaggi sono ingenti. Una stima economica indicativa Brumgnach ce la fornisce su un impianto da 19,9 kW (taglia che consente di evitare l’adempimento burocratico dell’”officina elettrica”che scatta dai 20 kWp in su), ipotizzando una spesa di circa 40mila euro per l’impianto (ma i costi, va sottolineato, possono variare a seconda del sito e delle offerte) e una produzione dell’impianto di 24.000 kWh (facilmente ottenibile anche al Nord Italia).

Oggi, ci spiega, stimando un autoconsumo diretto del 50%, cioè 12.000 kWh, si avrebbe un risparmio diretto di 6mila euro, cui si sommano circa 3.500 euro dall’immissione in rete con ritiro dedicato e 1.200 euro come premio per l’autoconsumo collettivo. Parliamo dunque di oltre 11mila euro di benefici economici all’anno.

Certo, va tenuto conto che questi valori sono drogati dagli astronomici prezzi dell’elettricità attuali: ai valori antecedenti a questo giro sulle montagne russe (si scusi il gioco di parole involontario), cioè quelli di tre anni fa, stima Brumgnach, i 6mila euro di risparmio attuale sarebbero stati circa 2.500 e i 3.500 dalle vendita in rete dell’energia circa 1.500 (mentre i 1.200 euro di premio sull’autoconsumo resterebbero invariati); dunque, le entrate economiche sarebbero più che dimezzate, a 5.200 euro.

Ma l’investimento è assolutamente da considerare, anche perché dai 40mila euro di investimento ipotizzati ne andrebbero sottratti 20mila di detrazioni fiscali pari al 50% (restituiti in 10 rate annuali o scontati subito con cessione del credito), mentre i benefici economici proseguono: per 20 anni l’incentivo sull’autoconsumo e per la vita utile dell’impianto (circa 30 anni) quelli legati al risparmio in bolletta e alla vendita dell’energia.

 

 

 

Fonte: www.qualenergia.it




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