Non è esagerato pensare che i prossimi 10-15 anni potrebbero davvero cambiare il mondo, portandolo verso una traiettoria di crescita “sostenibile”.

Sarà, infatti, il decennio a venire, un momento decisivo per la storia economica globale, “use it or lose it” (letteralmente “o lo usi o lo perdi”) secondo lo studio appena pubblicato dalla Global Commission on the Economy and Climate, la commissione indipendente internazionale istituita nel 2013 da sette governi (Colombia, Etiopia, Indonesia, Norvegia, Corea del Sud, Svezia e Gran Bretagna) e composta da ex capi di governo, ministri delle finanze, economisti di fama mondiale (ad esempio Nicholas Stern), imprenditori.

In questo periodo, evidenzia la commissione, sono attesi investimenti in nuove infrastrutture in tutti i settori, dall’energia ai trasporti, passando per le città, l’agricoltura e le industrie, pari ad almeno 90 trilioni di dollari (90.000 miliardi).

Se un tale fiume di denaro sarà speso bene, pensando a combattere i cambiamenti climatici e a diffondere le risorse energetiche rinnovabili, l’economia mondiale otterrà un beneficio netto stimato in 26.000 miliardi di dollari cumulativi al 2030 (è un dato molto conservativo, ci tengono a precisare gli autori dello studio), perché i vantaggi della green economy sorpasseranno ampiamente i costi complessivi per realizzare una società più amica dell’ambiente.

Inoltre, se gli investimenti saranno più “verdi”, nel 2030 si saranno creati oltre 65 milioni di posti di lavoro aggiuntivi e si saranno evitate almeno 700.000 morti premature dovute all’inquinamento atmosferico, come riassume lo schema sotto.

Altrimenti, se i soldi saranno spesi male, cioè pensando prevalentemente all’estrazione, produzione e utilizzo di combustibili fossili, governi e imprese rischieranno di trovarsi con una moltitudine di stranded asset, opere molto costose diventate però inutili o troppo minacciose per la salute umana, come centrali a carbone, gasdotti, pozzi di petrolio non convenzionale estratto con il fracking e così via.

Perdendo, quindi, miliardi di dollari per i loro investimenti sbagliati.

Queste e altre stime sono contenute nel rapporto (Accelerating Climate Action in Urgent Times, allegato in basso) che riassume i risultati del progetto The New Climate Economy: come sposare gli obiettivi di sviluppo economico con quelli volti a ridurre le emissioni inquinanti, in modo da limitare l’aumento delle temperatrure medie sotto 2 gradi centigradi entro la fine del secolo, rispetto all’età preindustriale, in base agli accordi di Parigi.

Tanta urgenza si spiega con i più recenti modelli climatici, che prevedono l’impossibilità di contrastare in modo efficace il surriscaldamento terrestre, se non ci sarà un taglio netto e drasticodelle emissioni di gas-serra entro pochi anni (vedi QualEnergia.it: Clima: l’effetto domino porterà inevitabilmente a un “Pianeta-serra”?).

Quindi, secondo i membri della commissione internazionale, i governi per prima cosa dovrebbero imporre una tassa sulle emissioni di anidride carbonica di almeno 40-80 $ per tonnellata di CO2 entro il 2020, per poi salire a 50-100 $ nel 2030 (vedi anche QualEnergia.it).

Poi le maggiori economie mondiali, a partire da quelle del G20, dovrebbero rimuovere tutti i sussidi alle fonti fossili e alle pratiche agricole dannose per l’ambiente.

Di conseguenza, i governi dovrebbero aumentare considerevolmente i loro investimenti in infrastrutture con un minore impatto ecologico: fonti rinnovabili, sistemi di accumulo energetico, mobilità elettrica, soluzioni di economia circolare per il riciclo-riuso dei materiali, anche impiegando i proventi della carbon tax che, su scala globale, potrebbe assicurare quasi tremila miliardi di dollari l’anno di ricavi aggiuntivi al 2030.

Un ruolo prioritario, inoltre, è affidato alle grandi aziende e ai grandi istituti finanziari.

Difatti, si legge nel rapporto, tutte le maggiori multinazionali sono chiamate a perseguire obiettivi climatici di tipo scientifico (science-based targets), allineati con i traguardi fissati a Parigi nel 2015, oltre a divulgare in modo chiaro e dettagliato i rischi ambientali correlati alle loro attività.

Mentre banche, assicurazioni e fondi sovrani dovrebbero disinvestire da tutti i settori che riguardano le fonti fossili più inquinanti (vedi QualEnergia.it per approfondire questi ultimi punti: Banche, poca trasparenza sulle attività finanziarie che aumentano le emissioni).

Fonte QualEnergia.it