Il 22 gennaio,  Larry Flint, amministratore delegato di BlackRock, il più grande fondo di investimento del mondo, in una lettera inviata ai colleghi di grosse imprese multinazionali ha scritto testualmente: “I dati sui rischi climatici obbligano gli investitori a riconsiderare le fondamenta stesse della finanza moderna”, per cui “siamo convinti, quanto agli investimenti, che integrare la sostenibilità – in particolare il clima – nei portafogli possa fornire agli investitori dei migliori rendimenti, corretti per il rischio”  (vedi anche Clima e investimenti, anche BlackRock vuole uscire sul carbone).

rumors suscitati dalla lettera sono stati rapidamente sovrastati dalle preoccupazioni provocate dalla pandemia e dalla conseguente crisi economica.

Così, quando si è incominciato a discutere della ripresa post-virus, da più parti si è potuto tranquillamente sostenere che gli investimenti per la ricostruzione dovevano avere la precedenza rispetto a quelli per il contrasto alla crisi climatica.

Oltre che discutibile, questa tesi ignora che, soprattutto in Europa, si sta facendo strada una proposta che riprende, arricchendoli, i suggerimenti di Flint: gli investimenti per attuare politiche di decarbonizzazione sono quelli più efficaci per il rilancio dell’economia. 

Il 14 aprile, 9 eurodeputati di tutto lo spettro politico, 37 amministratori delegati di grosse imprese e più di 50 del settore bancario e finanziario, 28 associazioni imprenditoriali, la confederazione sindacale europea, 7 Ong e numerose associazioni europee hanno promosso l’European Alliance for Green Recovery, sottoscrivendo una dichiarazione, con cui si impegnano  a favore di “programmi di ricostruzione e di trasformazione che assumano la battaglia contro il cambiamento climatico e la biodiversità come pilastri fondamentali della strategia economica”.

In questo, supportati da un rapporto edito a maggio da McKinsey (“How a post-pandemic stimulus can both create jobs and help the climate”), secondo cui ogni milione di dollari speso come stimolo genera 7,49 posti di lavoro a tempo pieno, diretti e indiretti, se destinato alle infrastrutture per le energie rinnovabili; 7,72, se indirizzato all’efficienza energetica; solo 2,65, se utilizzato per i combustibili fossili.

Il 27 maggio è stata la volta di Next Generation, la proposta della Commissione europea di un fondo da 750 miliardi di euro, di cui 500 a fondo perduto e 250 di prestiti. All’Italia andrebbero rispettivamente 82 e 91 miliardi di euro.

La parte più cospicua del fondo è destinata a sostenere gli investimenti diretti degli Stati membri e a stimolare quelli privati, entrambi finalizzati allo sviluppo della transizione sia verde che digitale; una distinzione spesso formale, visto che l’elettrificazione green richiede importanti investimenti nella digitalizzazione, in particolare delle reti.

Obiettivo immediatamente recepito dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nelle considerazioni finali alla relazione annuale del 29 maggio: “la proposta della Commissione presentata due giorni fa al Parlamento Europeo per la creazione del nuovo strumento denominato Next Generation EU ribadisce la centralità della transizione ambientale e di quella digitale”.

Anche nell’America di Trump qualcosa sta cambiando. Nel 2019, per la prima volta da 130 anni, il consumo energetico complessivo delle fonti rinnovabili ha superato – anche se di poco – il consumo di carbone. E, durante l’assemblea annuale degli azionisti di Chevron, seconda compagnia petrolifera del paese, che si è svolta il 27 maggio, la richiesta degli azionisti Bnp Paribas e BlackRock di divulgare tutte le attività di lobby, per poter verificare se la società sostiene gli obiettivi di contrasto del riscaldamento globale, è stata approvata dalla maggioranza dei soci, contro il parere del consiglio di amministrazione. Non era mai accaduto prima.

Anche se anacronistica, la posizione di chi sostiene che la priorità data agli investimenti per la politica di decarbonizzazione danneggerebbe la ripresa economica, continuando a essere presente nel dibattito sul che fare, rischia però di ritardare una scelta, viceversa molto urgente: focalizzare l’attenzione sulla tempestiva messa a punto di un programma operativo per la gestione dei fondi di Next Generation in supporto di obiettivi congruenti con il Green Deal europeo, che non sono solo quelli di un PNIEC più sfidante dell’attuale, in quanto dovrà garantire la riduzione del 50-55% delle emissioni climalteranti entro il 2030.

Il Green Deal dovrà infatti essere inclusivo, cioè particolarmente attento alle regioni, alle industrie e ai lavoratori su cui maggiormente graveranno gli effetti delle politiche energetico-climatiche.

Dovendo garantire la contestuale realizzazione di tutti gli obiettivi, la stesura del programma operativo rappresenta di per sé una sfida tutt’altro che banale, tuttavia da vincere, perché la mancata realizzazione degli impegni presi porterebbe alla sospensione dei finanziamenti.

Next Generation dovrebbe presumibilmente decollare nel 2021. Non c’è quindi tempo da perdere. Se non ora, quando?